lunedì 16 settembre 2019

Echi




 C’è solo un modo di essere giovani. Tutto il resto è apparenza. 


Ricordo che a quel tempo scopavamo ascoltando Echoes dei Pink Floyd. Stessa durata, 23 minuti e 31 secondi, stesso andamento, stessa progressione. Noi allora ancora non lo sapevamo, che stavamo utilizzando uno dei capolavori assoluti della musica del Novecento per i nostri intermezzi sessuali, ma forse qualcosa dovevamo intuirlo. E il sesso era una cosa molto diversa da come lo intendiamo oggi.

Quel brano occupava un’intera facciata del disco, così non dovevi fare altro che lasciar scendere la puntina all’inizio dei solchi. Alla fine il piatto si fermava da solo. E si poteva riaccendere la luce.


Tutto iniziava con un “si”, che era una nota acuta emessa da un pianoforte e modificata, ma anche il termine che portavamo sulle labbra. Sì, lo voglio. Sì, prendimi, Sì, ti voglio. E così scendevamo insieme nei labirinti di caverne coralline dove ogni cosa è verde e sommersa e non riemergevamo fino a che non sentivamo pronunciare le parole così spalanco la finestra e grido il tuo nome al cielo.

Allora sapevamo che stava per finire, ma avevamo ancora qualche secondo per un ultimo bacio, un’ultima carezza, prima di essere presi nel vortice finale del canone eternamente ascendente, la scala suonata contemporaneamente su ottave differenti. E mentre una scala diminuiva di intensità, l’altra aumentava, proprio come succedeva ai nostri rispettivi sensi. Bach l’aveva insegnato ai Pink Floyd e i Pink Floyd l’avevano trasmesso a noi, ascoltatori inconsapevoli e amanti instancabili, che ce ne servivamo a modo nostro.


Un vento sonoro faceva tremare i nostri corpi nudi, come se davvero qualcuno avesse aperto le finestre e un tranquillo uragano stesse per travolgerci. A quel tempo ci sfuggiva il significato recondito di quei suoni e di quelle parole scandite in un idioma che non era il nostro, ma non il senso. Quello lo capivamo bene. Tu e io, noi e gli altri; un pianeta, miliardi di echi. Eravamo giovani, mica stupidi. 

(foto Compagnia di danza "Echoes", Pink Floyd Suites)

domenica 15 settembre 2019

Qual è il tuo modello?




        Sembra che nessun essere umano sia capace di crescere, svilupparsi, evolversi, senza un modello. La nostra esperienza evolutiva assomiglia a un pittore che non sappia ritrarre un corpo senza averlo di fronte. Per cui il corpo che dipingerà, sia pure con tutte le variazioni e le fantasie che vorrà aggiungervi, sarà pur sempre quello del modello o della modella che avrà osservato.

Nel corso dei secoli i modelli sono variati, come è ovvio, ma è solo nel Novecento, con l’esplosione della società dello spettacolo, che vi è stato un radicale cambiamento. I mezzi di comunicazione di massa hanno invaso il pianeta, risparmiando davvero poche isole in cui la presenza umana è quasi irrilevante.
Fotografia, cinema, televisione, stampa. I nostri modelli non sono più, soltanto, nostro padre e nostra madre, i nostri parenti, i nostri vicini di casa, quelli della nostra stessa classe sociale. Sono figure lontanissime, che pure appaiono vicine viste con il potente telescopio dei mass media. La straordinaria ricchezza di un residente a Beverly Hills si può quasi toccare con mano. Pare quasi un nostro intimo amico, l’attore di Hollywood che si è sottoposto a una serie di lifting per sembrare meno vecchio. E poi, ormai i tatuaggi ce li hanno tutti, loro, quelli che il mondo osserva, perché non dovrei averne uno anche io? E non hanno iniziato loro, quelli che non hanno mai avuto problemi di soldi, quelli che la vita sanno godersela, loro, gli attori, le attrici, i cantanti, non hanno iniziato loro a rompere il tabù del vincolo del matrimonio? A mettere al mondo figli senza sposarsi, a separarsi, a divorziare, una, due, tre volte... Eccola, la libertà, facciamolo anche noi! Mia nonna era nata all’inizio del secolo scorso, fece tanti figli e sopportò anche le corna, che stupida... Allora mi separo pure io, perché forse lei o lui mi ha tradito, anche se poi dovrò dormire in macchina perché l’equilibrio economico su cui si basava la nostra vita era appeso a un filo e lo abbiamo spezzato. 
Modelli, colpa dei modelli, datemi retta.

Mi piacerebbe tanto sapere se c’è un sociologo (o magari uno psicanalista) che abbia analizzato certi effetti sulla popolazione della tv in tutte le case. Ad esempio: chi è cresciuto guardando le gambe delle gemelle Kessler, e poi quelle di Raffaella Carrà, che idea si sarà formato della sua donna ideale? Non avrà cercato, una volta adulto, quel tipo di gambe in ogni donna che incontrava? Sembra una sciocchezza, ma non lo è. Prima del cinema e della tv, un ragazzino non aveva modo di guardare le gambe a una donna, se non in rari casi, e anche in quei casi si trattava pur sempre di gambe comuni, belle, brutte, lunghe, tozze... A vedere le ballerine a teatro ci andavano solo gli adulti. Vuoi mettere, invece, vedere continuamente belle gambe, gambe lunghe, ben fatte, agili, snelle? Ci cresci, che tu lo voglia o no diventano il “tuo” modello di gambe. Il “tuo” modello di donna. Solo che, poi, non tutte le donne hanno quelle gambe, e le nevrosi fioccano...



E che dire degli stupefacenti? Forse che il contadino o l’operaio dell’Ottocento ne facevano uso? Eppure potrei citare qui una serie interminabile di scrittori che hanno scritto i loro capolavori sotto l’effetto di droghe: Baudelaire, Verlaine, Rimbaud e Mallarmè facevano parte del Club des Hashischins e si provocavano allucinazioni fumando hashish, come credete siano nate le poesie de Les Fleurs du Mal, Les Paradis artificiels e Opium et haschisch? Pare che perfino William Shakespeare facesse uso di marijuana per comporre le sue opere. Charles Dickens fece uso di oppio, Victor Hugo di hashish e Robert Louis Stevenson di cocaina e morfina. Come credete che scrivesse, in soli sei giorni, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde? E dopo di loro tutti gli altri, scrittori, musicisti, attori... Ognuno prendendo a modello l’altro. Fino agli eccessi ancora biasimati del jazz e a quelli ormai tollerati delle rockstar. Sesso, droga e rock ‘n roll. Perché da una parte le droghe distruggono, dall’altra aiutano molto a creare. E allora, perché loro sì e io no? Droga di massa, mercato miliardario, affari d’oro per chi la commercia, che in fondo non deve essere poi tanto cattivo, se ci porta sotto casa qualcosa che vogliamo così tanto e gli “altri”, quelli buoni, invece non vogliono darci. 
Modelli, colpa dei modelli, datemi retta.