domenica 14 aprile 2019

Piccola storia crudele del capitalismo (americano)



     
Dunque, per diventare quello che è oggi, il mondo inizia a cambiare alla fine del XV secolo. Navigatori europei scoprono nuove terre al di là dell’Oceano; non sono le Indie, come si credeva, ma un altro continente, cui viene dato il nome di America.
I navigatori sono esseri romantici, si sa, mossi nient’altro che dalla sete di scoperta e dall’ambizione della fama imperitura. Ma i monarchi, i capi militari, i mercanti, no. A loro delle nuove scoperte non interessano la geografia, le culture antiche, la flora e la fauna. No, a loro interessano esclusivamente le ricchezze. Oro, argento, rame. E la terra, come qualcosa da possedere e da sfruttare.

Dunque all’inizio il nuovo continente viene semplicemente sfruttato: le navi partono dalla Spagna, arrivano in America, fanno il carico di metalli preziosi e ripartono per tornare in Spagna. Se non incontrano i pirati, che di solito sono inglesi e si comportano un po’ come gli avvoltoi con le prede uccise e smembrate dai grossi felini. Vanno a rubare in casa dei ladri, insomma.
Spagnoli, portoghesi, inglesi, francesi, vanno in America e si comportano come se fosse una terra disabitata. “L’abbiamo scoperta noi, è nostra!”. In realtà sono degli invasori, ma guai a dirglielo. Quella terra, infatti, è di qualcun altro, altri popoli che la abitano da secoli e secoli, ma gli invasori fanno finta di niente. “Davvero ci sono gli Incas?”. “Davvero ci sono i Pellerossa?”. Prima che il resto del mondo si accorga che quelle terre sono abitate, cercano di sterminare tutti i nativi. Ci riescono in parte, soprattutto nella parte a sud. Gli indigeni della parte a nord sono più numerosi e combattivi, e quando si accorgono che gli ospiti venuti dall’Oceano non sono affatto gentili né educati, anzi sono piuttosto rozzi e crudeli e ingordi, cercano di rendere loro pan per focaccia. Però hanno solo archi e frecce mentre quegli altri fucili e pistole, e la lotta non è pari. Si sa come andrà a finire.

Di tutte le razze, ops!, le etnie in cui si divide il genere umano, quella di pelle bianca si è finora dimostrata essere la più ostinata, vorace, perfidamente intelligente e brutalmente violenta. Certo, violente lo sono state anche le altre, ma gli uomini di pelle bianca hanno dato prova di saper essere brutali e al tempo stesso civilizzati, come se le due cose non fossero naturalmente in contrasto fra loro. Ragione per cui, per una incomprensibile legge di natura, l’uomo bianco finora ha prevalso sugli altri. Soprattutto sugli uomini dalla pelle rossa e nera.

Dunque, dicevamo che in principio gli europei, che hanno scoperto l’America, ne sfruttano le ricchezze. Ma in numero sempre maggiore vi si stabiliscono. Quelli che sono andati a stare nella parte a nord a un certo punto sono così tanti che iniziano a sentirsi anche loro sfruttati dalla madrepatria e vorrebbero staccarsi dalla Gran Bretagna. Per questo fanno una guerra d’indipendenza, e la vincono, perché sono più determinati di quelli che sono rimasti in Europa, e creano uno stato, anzi, tanti stati, ogni anno ce n’è uno che vuole aggiungersi all’Unione. Tanti stati, tanti uomini, tutti di pelle bianca. Non c’è posto per gli uomini dalla pelle rossa, che arditamente reclamano le loro terre, i loro fiumi, il loro bestiame. Devono essere sterminati e i superstiti rinchiusi in riserve. C’è posto, invece, e tanto, per gli uomini di pelle nera, che notoriamente, e oziosamente, vivono in Africa.
Europa, America, Africa. Disponendo questi tre continenti su un piano e collegandoli fra loro con delle linee otterremmo un triangolo.

Ora pensate un po’ voi: a questi furbi, ingegnosi, laboriosi, ma parimenti crudeli e spietati, uomini bianchi d’America, non basta arricchirsi coltivando le terre che erano dei Sioux e degli Apache, commerciando in pelli di bisonte o di castoro, estraendo carbone dalle miniere, per di più sfruttando anche il lavoro dei minatori.
Perché essere solo ricchi quando si può essere ancora più ricchi? Loro forse ancora non lo sanno, ma stanno agendo in nome di un fato che deve compiersi: stanno accumulando ricchezze, tante ricchezze, molte di più di quanto un uomo possa godere in tutta la vita, ma non per questo inutili. Serviranno a generare un mostro che dominerà i secoli a venire. Ma andiamo per gradi...

Siamo più o meno nel Settecento, il secolo dei lumi in Francia, ma ci sono uomini che vivono nelle tenebre dell’avidità; questi uomini, avventurieri e mercanti, viaggiando per commerci lungo le coste dell’Africa, un bel giorno hanno un’idea. Gli uomini di pelle bianca hanno sempre grandi idee: la stampa, il telescopio, il pantografo... Ma questa è un’idea che farà arricchire tutti, europei e americani (attenzione: quando si dice che tutti si arricchiscono non è proprio così... qualcuno che ci perde, e anche tanto, c’è sempre...). C’è qualcosa che vale ancora di più dell’avorio che razziano in Africa per rivenderlo in Europa, qualcosa che vale ancora di più dell’oro che rubano in terra straniera. Le loro navi hanno stive capienti, e allora l’idea è di riempirle di negri. Uomini, donne, bambini. Non fa differenza. L’America, per crescere e diventare ancora più ricca (non si tratta di sopravvivenza, si badi bene, loro ancora non lo sanno ma la storia gli ha affidato il compito di dare alla luce una creatura di dimensioni smisurate e di infinita potenza) ha bisogno di braccia, di forza lavoro, che non costi nulla o quasi.
Come hanno fatto gli Egizi a costruire le piramidi? Ecco, loro aiuteranno gli americani a costruire un’enorme piramide fatta di attività economiche, di denaro, di interessi, di soprusi, di sangue, a costruirla come fecero gli Egizi tremila anni prima: servendosi di milioni di schiavi.

Loro ancora non lo sanno, agiscono come in preda a un raptus, non sanno che nome avrà, qualche tempo dopo, la grande costruzione che si apprestano a erigere per mezzo di veri e propri sacrifici umani. Non si rendono conto di essere come quegli Atzechi che hanno sterminato, nella parte sud dell’America. Fautori dell’orrore civilizzato (secoli più tardi, europei e americani daranno ancora grande prova di questa loro arte, nei campi di concentramento o a Hiroshima e Nagasaki).
Ed ecco allora il triangolo maledetto. Gli europei (inglesi, olandesi, francesi) si organizzano, si fanno finanziare, creano società, stipulano assicurazioni (l’orrore civilizzato!) e vanno con le loro navi in Africa, dove acquistano in cambio di merci e armi gli schiavi dalle tribù che nel frattempo li hanno catturati. Caricano gli schiavi, uomini, donne, bambini, nelle stive delle navi, come se fossero merci, come dei tronchi di legno, allineati uno di fianco all’altro, e partono per l’America. Là in molti li aspettano e pagheranno bene quella merce umana. Due o tre mesi in mare. Agli schiavi viene data solo poca acqua e poco cibo, quando ce n’è.
Considerando la vita (anche se si fa molta fatica a chiamarla ancora così) che li aspetta una volta arrivati a destinazione e assegnati al loro “padrone”, forse va meglio a quelli, e sono tanti, che muoiono durante la traversata. A quelli che l’America, terra di libertà e di sogni, non la vedono neanche.

Gli storici hanno calcolato che gli schiavi d’Africa giunti in America nei secoli XVIII e XIX siano stati circa 15 milioni. Ai quali vanno aggiunti quelli partiti e mai arrivati. Per far finire del tutto lo schiavismo ci vorrà un’altra guerra e un presidente che, non a caso, morirà assassinato.
Gli schiavi si chiamano così perché non sono liberi di andarsene quando e dove vogliono, hanno catene materiali o metaforiche, ma pur sempre catene. E perché il loro lavoro non viene pagato, se non con il cibo necessario alla loro stessa sopravvivenza.
Gli schiavi lavorano nelle case, ma soprattutto nei campi. Raccolgono il cotone e il tabacco. Con il cotone si fanno abiti che vengono venduti in tutta l’America e in Europa, generando un’enorme ricchezza. I profitti si fanno ancora maggiori con la rivoluzione industriale. Le prime macchine utilizzate nelle prime fabbriche sono quelle tessili. Dunque, la filiera (si direbbe oggi) del prodigio economico americano è questa: gli schiavi raccolgono il cotone a costo quasi zero, i poveri lavorano alle macchine tessili sfruttati fino a 15 ore al giorno (d’estate in cui c’è più luce), anche donne e bambini sopra i 10 anni di età. La vendita del cotone prodotto con manodopera così a buon mercato genera enormi profitti. Queste ingenti somme vengono accumulate e verranno successivamente reimpiegate, o date in prestito, per nuove attività industriali.

Questo enorme accumulo di denaro, ottenuto grazie allo schiavismo, allo sfruttamento del lavoro umano, alla depredazione di terre e risorse naturali che appartenevano ai popoli indigeni, è ciò che in epoca moderna va sotto il nome di “capitale”. E questo capitale, creato in origine in modo così ignominioso, continua ancora oggi a passare di mano, ad accrescersi ulteriormente con gli stessi mezzi, a generare altro capitale come per partenogenesi, a cambiare sembianze e nome, a determinare la vita e la morte delle persone, il loro benessere o la loro miseria, come un demone infuriato, un dio malvagio e inumano che non conosce il senso della giustizia e non teme nemici.

Nessun commento:

Posta un commento