C’era un tempo in cui poveri disgraziati in fuga dalla
violenza fisica e dalla miseria salivano su imbarcazioni fatiscenti, stipati
come polli in batteria, riponendo le loro anime nelle mani degli dei del mare.
A volte gli dei erano benevoli (ma non sempre) e li
accompagnavano dolcemente fino alle coste, rimettendoli al volere degli dei
della terra. Generalmente, i ministri degli interni.
Alla fine anche questi dei si dimostravano sufficientemente generosi,
non senza prima aver mostrato la faccia cattiva. I poveri disgraziati potevano
scendere e toccare con i piedi il sacro suolo europeo a lungo agognato.
Questa cosa andò avanti per un bel pezzo, provocando una
netta divisione fra chi avrebbe voluto respingere o quanto meno non accogliere
i poveri disgraziati (sia perché poveri, sia perché disgraziati, e fra le loro
disgrazie c’era quella di avere la pelle molto più scura della nostra), e
coloro i quali consideravano questo atteggiamento inumano, schierandosi per la
soluzione evangelica delle porte aperte a tutti.
Pareva una di quelle situazioni in cui nessuno, da ambo le
parti, ha interesse a veder finire l’andirivieni di motoscafi e barconi, navi
delle Ong, motovedette: i difensori della linea dura, infatti, traevano da ogni
arrivo di profughi nuova linfa elettorale, rastrellando i voti di chi quei
poveri disgraziati dalla pelle nera proprio non sopportava di vedere in giro
per le strade della propria città. D’altra parte, i fautori dell’accoglienza
non si lasciavano scappare occasione per additare i loro avversari come
razzisti, fascisti, disumani, egoisti, cercando con ciò di accaparrarsi i voti
dei più sensibili alle disgrazie altrui.
Poi, un bel giorno fu deciso che questo surreale gioco
dovesse avere termine.
Poiché il gioco aveva inizio in Libia (anche se il cammino
dei profughi cominciava da molto più lontano), come prima mossa fu occupata
militarmente la costa mediterranea della Libia. Può sembrare una soluzione ardita
o dal sapore coloniale d’altri tempi, ma fu possibile con il consenso e
l’impegno di tutti i paesi europei e anche dell’Onu, sulla base del fatto che non
si poteva lasciare in preda al caos un paese la cui capitale, Tripoli, dista
appena 300 chilometri da Lampedusa, cioè dall’Italia, cioè dall’Europa. Questo
costituiva infatti una minaccia per l’intero continente. C’erano poi le ragioni
umanitarie, poiché era ormai acclarato che in Libia esistevano campi di
detenzione dove i profughi venivano trattenuti con la forza, nonché seviziati e
in alcuni casi uccisi.
Dunque, come in altri casi della Storia, bisognava
intervenire.
Una volta normalizzata, con la forza delle armi, la
situazione in Libia, potè iniziare a svilupparsi il grande progetto “Nuova
Europa”. Un fiume di soldi attraversò il Mediterraneo, fondi provenienti dai
paesi europei ma anche da Russia, Cina e Stati Uniti. Ovviamente, poiché
nessuno fa niente per niente, tutti i pozzi petroliferi libici furono posti
sotto il controllo dei paesi che partecipavano all’azione umanitaria, con
licenza di sfruttamento.
L’idea che animava il progetto era che se quello che i
migranti cercavano in Europa erano lavoro, civiltà, sicurezza, welfare, queste
cose si sarebbero potute creare direttamente in Libia, facendo del paese una
sorta di protettorato europeo. Il fine giustificava i mezzi.
In pochi anni, grazie agli ingenti fondi impiegati, una
parte del territorio libico fu completamente trasformata: furono costruite
case, strade, scuole, ospedali, fabbriche, uffici. Su quelle stesse coste
desolate, anche se bellissime, dalle quali prima partivano i barconi e
spadroneggiavano gli scafisti, ora sorgevano confortevoli resort e villaggi
turistici.
Nel giro di una decina d’anni, il tenore di vita degli
abitanti della “Nuova Europa” crebbe tanto da eguagliare quello di una regione
del Meridione d’Italia. Al punto che, a un certo momento, si assistette a una
inversione del fenomeno migratorio: erano i disoccupati di Calabria e
Basilicata a imbarcarsi, regolarmente stavolta, per andare a cercare lavoro
nella nuova terra promessa: la Libia.
Essendo la “Nuova Europa” un protettorato, poi, i suoi
cittadini potevano imbarcarsi su navi regolari ed entrare legalmente in Italia,
cioè in Europa, per turismo o per lavoro, in base a opportuni visti di ingresso.
Ora nessuno parlava più di profughi e di immigrazione o si
permetteva di fare affermazioni razzistiche idiote. La ragione aveva finalmente
prevalso sull’irrazionalità.
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